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Cie, la Via Crucis degli immigrati

Benvenuti nel Cie di Ponte Galeria, il centro identificazione ed espulsione della Capitale. Un luogo che per tanti immigrati è davvero una stazione nel calvario del loro percorso migratorio: anticamera all’espulsione forzata e fine di un sogno, o inutile condanna per chi non riuscirà ad essere identificato e rientrerà nel giro dell’irregolarità.

La Caritas di Porto-Santa Rufina è qui «per testimoniare la vicinanza della Chiesa a uomini segnati da un’esperienza di solitudine e di sfiducia», dice il direttore della Caritas diocesana don Emanuele Giannone. Ed è qui come primo esordio pubblico Paola Varvazzo, assessore alle politiche sociali della nuova giunta regionale del Lazio di Nicola Zingaretti. La presenza della Varvazzo tra queste mura in realtà non è una novità, visto che - come vice prefetto aggiunto - s’è occupata per anni di immigrazione. «Torno qui in veste diversa ma con lo stesso affetto di sempre», dice agli “ospiti” del Cie. Il Cie di Ponte Galeria può ospitare fino a 250 persone. In realtà le presenza sono molto più basse: «Oggi ne abbiamo 126, di cui 52 donne e 74 uomini», spiega il direttore Pino Di Sangiuliano della cooperativa Auxilium che gestisce con passione e umanità la struttura con 75 operatori specializzati e 15 medici presenti 24 ore al giorno. «Grazie a loro ora, assieme ad altre realtà umanitarie, finalmente abbiamo accesso e spazi al Cie», conferma don Giannone. Oltre alla cappella c’è una moschea, il 70% sono nordafricani. «È un luogo inutile - dice il sacerdote – anche solo per quanto costa». La legge fissa fino a 18 mesi il trattenimento, ma dopo sei o si è identificati oppure si esce. «Ma qui non possono fare né laboratori, né corsi. La polizia qui non entra e il personale non può garantire l’ordine pubblico. Chi viene dal carcere, dice che il Cie è peggio. Si, perché la maggioranza viene da lì: dopo anni non sono identificati. E una volta liberati, invece che espulsi, sono di nuovo rinchiusi. Possibile non esista una soluzione diversa?».

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